giovedì 17 luglio 2025
Tra i 9 feriti anche padre Gabriel Romanelli. Da giorni i proiettili cadevano vicino all'edificio. Trump chiama Netanyahu per chiedere spiegazioni: «È stato un errore». Lo sgomento della Cei
Padre Romanelli, sconvolto e ferito, parla coi soccorritori

Padre Romanelli, sconvolto e ferito, parla coi soccorritori - Ansa

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Più ancora del tetto accartocciato della Sacra Famiglia, l’unica chiesa cattolica di Gaza, l’immagine simbolo della giornata è quella del parroco, Gabriel Romanelli, con la gamba fasciata, che cerca di confortare i 541 rifugiati all’interno del complesso da oltre ventidue mesi. «Ce la faremo anche questa volta», sussurrava il religioso del Verbo Incarnato ai fedeli, annichiliti dopo il raid che ha colpito il complesso. Da oltre una settimana gli scontri a Zeytun, quartiere orientale nella parte vecchia di Gaza City, si erano intensificati. Per questo, il parroco aveva chiesto alle persone di fermarsi il meno possibile nel cortile interno. Le attività di sostegno psico-sociale di Caritas Gerusalemme – che si svolgevano nella tenda piazzata al centro dello slargo – erano state interrotte per ragioni di sicurezza. Mercoledì sera, poi, con l’arrivo dei carri armati, i combattimenti avevano subito un’ulteriore escalation: le pareti della struttura hanno tremato per tutta la notte. Alla fine, intorno alle 10.20, un tank – almeno questo risulta dalle prime indagini – ha centrato il tetto della chiesa.

Il profilo della chiesa di Gaza danneggiata

Il profilo della chiesa di Gaza danneggiata - Ansa

La caduta dei blocchi di cemento ha ucciso sul colpo il portinaio Saad Issa Kostandi Salameh, 60 anni, e l’82enne Foumia Issa Latif Ayyad. Avvolti in un semplice lenzuolo – non ci sono più bare nella Striscia – le due salme sono state portate per il funerale nella vicina San Porfirio. Là, nell’altra chiesa di Gaza ma ortodossa, comunità a cui appartenevano le vittime, è stato immediatamente celebrato il funerale. Il caldo eccessivo e l’assenza di mezzi di refrigerazione rende difficile conservare i corpi. Mentre si svolgevano le esequie è giunta la notizia, dall’ospedale al-Alhi, della morte della 69enne Najwa Abu Daoud, ricoverata in condizioni estreme. Nella clinica, nota anche come ospedale battista, sono stati portati gli altri dieci feriti, di cui tre gravi. Tra loro Suhail abu Dawod, giornalista e collaboratore dei media vaticani: da più di un anno cura la rubrica settimanale “Vi scrivo da Gaza” sull’Osservatore romano «È una tragedia enorme. Ma sappiamo che sarebbe potuta andare molto peggio. Di norma nel cortile stavano decine di persone. Se padre Gabriel non avesse chiesto di stare dentro, sarebbe stato un massacro», racconta un sopravvissuto che ha chiesto di restare anonimo, ancora sconvolto. Il sacerdote, dopo essersi fatto medicare, è tornato nel complesso e si è messo al lavoro per alleviare il dolore collettivo e comprendere l’entità dei danni che appaiono ingenti.

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La piccola luce che la Sacra Famiglia ha rappresentato in questi quasi due anni per i gazawi di qualunque religione non può spegnersi. La sua testimonianza di resistenza all’odio, più volte sottolineata dal patriarca, Pierbattista Pizzaballa, e di soccorso generoso ai vicini, con cui hanno sempre condiviso i soccorsi ricevuti, ha infuso forza nella popolazione allo stremo. In questo spirito, si possono leggere anche le parole pronunciate dal Patriarcato dopo il raid: «Condanniamo fermamente questo attacco a civili innocenti e a un luogo sacro. Questa tragedia, tuttavia, non è più grave o più terribile delle tante altre che hanno colpito Gaza. Molti altri civili innocenti sono stati feriti, sfollati e uccisi. Morte, sofferenza e distruzione sono ovunque». Il cardinale Pizzaballa ha rivolta un forte appello a «concludere a questa guerra insensata» e ha ribadito: «Non abbandoneremo mai la gente di Gaza».

L’esercito israeliano ha, da parte sua, parlato di vicenda poco chiara e annunciato l’apertura di un’inchiesta mentre il ministero degli Esteri di Tel Aviv ha espresso «profondo dolore». L’ambasciatore israeliano in Italia, Jonathan Peled, ha scritto su X: «Israele non intende arrecare danno a chiese o altri siti religiosi» ma «sta conducendo una guerra di estrema complessità contro un’organizzazione terroristica sanguinaria» che si scherma dietro «scuole, ospedali, luoghi di culto». In serata la telefonata tra Trump e Netanyahu, che al presidente Usa avrebbe assicurato come l'attacco sia stato «un errore».

Per tutto il giorno, nel frattempo, i combattimenti sono andati avanti: 27 persone sono state uccise, secondo il ministero della Sanità, controllato da Hamas. Otto di questi erano parte di una scorta auto-organizzata agli aiuti umanitari nel nord. L’attuale escalation coincide con un momento delicato dei negoziati in atto da dieci giorni a Doha, con la mediazione di Qatar e Egitto. La trattativa è impantanata sul nodo del ritiro israeliano dalla Striscia. Per il gruppo armato, la determinazione di Tel Aviv a mantenere il controllo di ampie porzioni di territorio, indica la volontà di Benjamin Netanyahu di riprendere l’offensiva dopo i sessanta giorni di cessate il fuoco. Il contrario, dunque, di quanto garantito all’alleato Donald Trump nel viaggio della settimana scorsa a Washington. Dopo giorni di stallo, mercoledì sera, Israele ha presentato una nuova mappa che conferma la rinuncia al “corrodoio Morag”, una lingua d’asfalto tra Rafah e Khan Yunis. Gli israeliani arretrerebbero entro 1,2 chilometri dall’asse Filadelfia, lungo il confine egiziano. Hamas, ieri, secondo fonti palestinesi, avrebbe accettato la proposta. Un nuovo spiraglio si apre. Potrebbe, però, non essere così semplice. Il governo Netanyahu teme la fronda dell’ultradestra, sempre più aggressiva. E potrebbe attendere almeno fino al 28 luglio, data della chiusura estiva della Knesset, prima di qualunque decisione definitiva.

Un'altra immagine della Sacra Famiglia di Gaza bombardata

Un'altra immagine della Sacra Famiglia di Gaza bombardata - .

Il Papa: si fermino le violenze. Lo sgomento dei vescovi

Non si è fatta attendere ieri la voce della Santa Sede su quanto accaduto nella Striscia. «Sua Santità papa Leone XIV è stato profondamente rattristato nell’apprendere della perdita di vite umane e per i feriti causati dall’attacco militare alla chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza, e assicura al parroco, padre Gabriele Romanelli, e a tutta la comunità parrocchiale la sua vicinanza spirituale» Così si legge nel telegramma in lingua inglese inviato dal Pontefice a firma del cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. «Affidando le anime dei defunti alla misericordia di Dio onnipotente – si legge ancora nel messaggio – il Santo Padre prega per la consolazione di coloro che sono nel lutto e per la guarigione dei feriti. Sua Santità rinnova il suo appello per un cessate il fuoco immediato ed esprime la sua profonda speranza per il dialogo, la riconciliazione e la pace duratura nella regione». Messaggio anche da parte della presidenza della Cei: «Apprendiamo con sgomento dell’inaccettabile attacco alla chiesa della Sacra Famiglia di Gaza. Esprimiamo vicinanza alla comunità della parrocchia colpita, con un particolare pensiero a coloro che soffrono e ai feriti, tra i quali padre Gabriel Romanelli.

Nel condannare fermamente le violenze che continuano a seminare distruzione e morte tra la popolazione della Striscia, duramente provata da mesi di guerra, rivolgiamo un appello alle parti coinvolte e alla comunità internazionale affinché tacciano le armi e si avvii un negoziato, unica strada possibile per giungere alla pace. Ringraziamo la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Noemi Di Segni, per il suo messaggio di solidarietà e quanti, in queste ore, stanno manifestando la loro prossimità alla Chiesa cattolica». «Atti come questo – ha dichiarato il vescovo Mariano Crociata, presidente della Comece, che si trova in questi giorn in in visita in Ucraina– rinnovano il nostro dolore per il dilagare della violenza e ci spingono a ribadire con forza la nostra ferma contrarietà a ogni forma di guerra e conflitto armato». L’Azione Cattolica italiana denuncia l’«atto vile e ignobile», che «è anche l’ennesimo episodio di una campagna militare che ha da tempo smesso di distinguere tra obiettivi bellici e vite innocenti».


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